Non esistono in Italia boschi di castagno sicuramente indigeni e spontanei: tutti i castagneti, ormai parte integrante del paesaggio italiano dando l’impressione di una naturalizzazione completa, costituiscono il risultato della diffusione operata dall’uomo in epoche remote come pianta coltivata per la castagna.
Fino a non molti anni fa, per le popolazioni delle zone collinari e montane avere un castagneto era una fortuna: le castagne erano la principale fonte di nutrimento, da mangiare bollite o arrosto e, seccate e macinate, davano una farina utilizzata per preparare polente, castagnacci e persino forme di pane, e per questo il castagno veniva chiamato anche ”albero del pane”. Il legno serviva per riscaldarsi, per costruire case e mobili, pali per i vigneti e botti; dalla corteccia si estraeva tannino per la concia delle pelli; c’erano le foglie a far da lettiera agli animali e da concime per il terreno, e anche i fiori, con il paziente lavoro delle api, davano un ottimo miele di colore bruno.
A partire dai primi del 900 i castagneti italiani hanno subito una drastica riduzione di superficie, colpiti da due malattie molto gravi causate dai microfunghi Phytophtora cambivora ( il mal dell’inchiostro) e più tardi, intorno al 1940 si è aggiunta l’Endotia parasitica ( cancro della corteccia). Per quanto riguarda il mal dell’inchiostro, il problema è stato aggirato innestando le varietà da frutto su portainnesto giapponese(C.crenata) o cinese ( C.mollissima), resistenti alla malattia.Contro il cancro si sono sviluppati spontaneamente ceppi resistenti, tanto che oggi la malattia è in netta regressione.
Pianta davvero generosa, il castagno ,che, oltretutto, arricchisce enormemente ,con la sua presenza , l’ecosistema legando a sé una fauna e una flora molto varia, anche fungina………
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